
Samuele, che di lavoro fa il SEO, mi chiede tramite Facebook Messenger “Sono sempre più convinto che chi si occupa di SEO oggi debba conoscere molto bene la psicologia. Dietro il più banale intento di ricerca si celano un mondo di proiezioni emozionali che nascono e vivono nella mente dell’utente […] Ti è mai capitato di fare consulenze a riguardo? Hai qualche dritta da darmi?“
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C’è un posto del nostro encefalo in cui la razionalità viene messa da parte, e dove prendono invece il sopravvento le emozioni più basiche, come per esempio la paura e la rabbia. Parlo dell’amigdala, ovvero di quel ganglio a forma di mandorla posizionato nella parte più profonda e più primitiva del nostro cervello. Tra le sue funzioni principali vi è quella di elaborare delle decisioni in base alla situazione emotiva e agli stimoli presenti e passati. Vuoi un esempio sul funzionamento concreto della tua amigdala?
Bene: ipotizziamo che tu, questa sera, finisca di lavorare molto, molto tardi, quando il buio, tra le vie della tua città, è già pesto. E così, tanto per creare un po’ di atmosfera, ipotizziamo pure che, nella viottola in cui hai parcheggiato l’auto, in quella brutta e sporca stradina cul de sac a qualche minuto dal tuo ufficio, sia pure saltato il lampione. Immagina, in lontananza, il rombo prolungato di un tuono. Ecco, per quanto tu sia adulto e vaccinato, spavaldo e coraggioso, qualcosina, nella tua testa, ti porta ad accelerare sensibilmente l’andatura in direzione della tua auto, mentre la tua mano si stringe in modo sempre più compulsivo intorno alle chiavi che tieni in tasca. Ed ecco che, ad un certo punto, alle tue spalle si avvicina qualcuno: il tuo primissimo istinto è quello di lanciare un grido e di correre come il più pauroso dei bambini. La storia finisce qui: quello che ci importa, infatti, è il tuo istinto, che voleva farti gridare e scappare a gambe levate.
La responsabile di tutto questo è la tua amigdala: è lei a metterti in stato di allerta non appena entri nel vicolo buio, ed è ancora lei che ti invita alla fuga quando senti dei passi alle tue spalle. E questo perché l’amigdala ha imparato ad associare il buio e l’avvicinarsi sospetto di un altro individuo come dei possibili segnali di pericolo. Insomma, l’amigdala è quella parte del nostro cervello che, in risposta a degli stimoli emotivi, ci porta a trovare una strategia d’uscita istintiva.
Indice degli argomenti
- Come coniugare le strategie SEO alle esigenze dell’amigdala
- L’amigdala – degli altri – al centro dei nostri pensieri
- Primo consiglio: studia i fondamentali del neuromarketing
- Secondo consiglio: dai un soffio di vita ai tuoi utenti
- Terzo consiglio: tendi l’orecchio al tuo pubblico (con i giusti strumenti)
- Quarto consiglio: ottimizza come parli (o meglio, come parlano)
- Conclusione
Come coniugare le strategie SEO alle esigenze dell’amigdala
Detto questo… perché chi si occupa di marketing, di web marketing e di SEO dovrebbe preoccuparsi dell’amigdala? In che modo questo specifico ganglio del nostro cervello dovrebbe influenzare il modo in cui impostiamo le nostre pagine web o costruiamo le nostre strategie di vendita? Ebbene, come ci insegna il neuromarketing, l’amigdala ha un ruolo fondamentale nel momento in cui i consumatori si ritrovano a scegliere tra un brand e un altro.
E se l’amigdala influenza le decisioni degli utenti – se dunque esiste una relazione concreta tra le emozioni e le scelte effettuate online dai nostri potenziali clienti – allora chi si occupa di ottimizzare i contenuti web deve assolutamente capire il funzionamento di quella piccola parte del nostro cervello. Parliamo dunque di integrare gli insegnamenti del neuromarketing e della psicologia umana alla SEO, ovvero alla ottimizzazione per i motori di ricerca.
Sì, sono pienamente d’accordo con te: è più facile a dirsi che a farsi. Chi si occupa di SEO, solitamente, è alle prese con la ricerca delle più efficaci parole chiave, con gli strumenti di analisi delle prestazioni e con lo studio compulsivo degli algoritmi di Google. Si tratta infatti di ottimizzare al meglio ogni singolo elemento dei contenuti web – titoli, meta descrizioni, heading, link, immagini, formattazioni – per fare in modo che i motori di ricerca capiscano che i nostri contenuti sono buoni, anzi, dannatamente buoni, e utili, e di qualità, e originali, così da potersi guadagnare le agognate prime posizioni sulla SERP.
Come puoi senz’altro immaginare, in un universo di parole chiave, bounce rate, tag e link building, è facile dimenticarsi che il nostro reale obiettivo non è Google, quanto invece l’utente – l’umano – che sta dietro lo schermo. Insomma, non stiamo facendo la corte agli algoritmi di Google, non puntiamo davvero a convincere Google Panda o Penguin, quanto invece a sedurre i consumatori, esseri pensanti e, guarda un po’, amigdala-dotati, proprio come noi!
Per riuscire a ottimizzare davvero le nostre pagine online, dunque, dobbiamo imparare a pensare come pensano i consumatori, e iniziare a capire perché questi agiscono in una determinata maniera piuttosto che in un’altra davanti alle nostre offerte. Ed è esattamente qui che si inseriscono il neuromarketing e la psicologia applicata al web.
L’amigdala – degli altri – al centro dei nostri pensieri
Nel 2016 Google aveva dichiarato che, attraverso il suo motore di ricerca, venivano effettuate circa 2 bilioni di ricerche all’anno. Gli utenti pongono di continuo domande sui motori di ricerca, e lo fanno in maniera veloce, senza curarsi molto né della grammatica, né della sintassi, né della forma, proprio perché è una cosa che fanno ormai spessissimo , senza grande attenzione e, per l’appunto, in fretta. Perché è questo che la rete ci promette, tante informazioni – tutte quelle di cui abbiamo bisogno – in pochissimo tempo.
Ed è così che le query che inseriamo sulla barra di ricerca sono sgrammaticate e sempre più colloquiali. Questo anche grazie all’introduzione e al successo che stanno ottenendo le ricerche vocali attivate da SIRI e dagli altri assistenti digitali. Gli utenti, insomma, hanno iniziato davvero a conversare con i motori di ricerca, e questo nuovo approccio ha ovviamente delle conseguenze importanti per chi si occupa di rispondere nel migliore dei modi alle esigenze degli utenti.
Chi si occupa di SEO, insomma, non deve più pensare ai consumatori come a degli utenti che inseriscono una parola chiave semplice come ‘pasta all’amatriciana’, quanto invece come a delle persone che pongono a Google delle domande ‘ricche’ del tipo ‘come si prepara la pasta amatriciana’. Non abbiamo dunque a che fare con delle query stringate e precise, abbiamo a che fare con il linguaggio naturale, e quindi con delle persone che si rivolgono a Google come se si stessero rivolgendo ad un altro essere senziente e ‘vivo’. Ed è qui che entra in gioco l’amigdala, perché questo tono colloquiale ci suggerisce che bisogna intuire quello che l’utente voleva dire con quella query, più che la query vera e propria.
Google, con i suoi continui progressi nel campo dell’intelligenza artificiale e del machine learning, sta facendo passi da gigante nel capire alla perfezione cosa stanno cercando gli utenti con le loro query colloquiali. Questo vuol dire che chi crea dei contenuti per il web deve essere in grado di fare altrettanto, e capire che le parole chiave non hanno – e non avranno più – l’importanza che hanno avuto nel passato. Se vuoi che il tuo post dedicato alla preparazione della pasta all’amatriciana raggiunga un buon posizionamento su Google, dunque, non ti devi accontentare di ottimizzarlo per la keyword ‘ricetta amatriciana’, ma devi fare di più, pensando come pensano i tuoi utenti, e quindi inserendo nel testo quelle che sono verosimilmente le loro domande: ‘come si cucina la pasta all’amatriciana?’ oppure ‘è meglio la pancetta o il guanciale per l’amatriciana?’.
Insomma, è lo stesso Google, con i suoi nuovi algoritmi, a suggerirci di fare più attenzione all’umanità dei nostri utenti, alle loro esigenze, alle loro emozioni e alla loro amigdala. Non sai da dove iniziare? Beh, su questo blog puoi trovare davvero molti post dedicati al neuromarketing e alla psicologia applicata al web. Ma per una infarinata iniziale, dovresti seguire questi 4 consigli preliminari:
Primo consiglio: studia i fondamentali del neuromarketing
Perché dovresti studiare neuromarketing? Perché dovresti imparare a capire in che modo i contenuti che crei per la rete vengono digeriti dall’amigdala e, più in generale, dal cervello dei tuoi utenti? Semplice: una volta che avrai capito come funziona il cervello dei consumatori, saprai offrire loro quello che vogliono davvero. Quindi non ti limiterai più a ottimizzare i tuoi contenuti per i motori di ricerca, ma li potrai anche ottimizzare – in modo razionale e strategico – anche per i tuoi potenziali clienti.
Cosa ti può insegnare il neuromarketing? In che modo puoi sfruttare la natura dell’amigdala a tuo favore? Beh, partendo dal presupposto secondo il quale l’amigdala controlla le nostre reazioni emotive e le nostre emozioni in modo rapidissimo, bisogna sottolineare che, davanti ad uno stimolo esterno, siamo naturalmente portati a sperimentare prima una reazione di pancia, istintiva ed emozionale, e poi un eventuale ragionamento razionale. Questo significa che, per attrarre quanto prima l’attenzione degli utenti, è necessario realizzare dei testi e dei contenuti che sappiano fare appello alle loro emozioni, così da convogliare il loro interesse.
Questo è efficace soprattutto quando gli utenti sono posti davanti ad una scelta tra più opzioni, come per esempio di fronte alla SERP di Google: non solo dovrai fare in modo di ottimizzare per i motori di ricerca il tuo tag title e il tuo tag meta description, ma dovrai fare di più, ottimizzandoli anche per l’amigdala del tuo cliente. Il mio consiglio è dunque quello di inserire degli elementi ‘emozionali’, delle parole coinvolgenti, dei pezzi di ‘linguaggio naturale’ in grado di attirare lo sguardo dell’utente che così, tra la decina di risultati mostrati nella pagina, sarà – più probabilmente – portato a scegliere il tuo.
Secondo consiglio: dai un soffio di vita ai tuoi utenti
Le tue buyer personas non dovrebbero essere dei meri modelli statistici. Come ti ho detto prima, dietro allo schermo ci sono degli utenti dotati di cuore e soprattutto di amigdala: quando definisci il tuo cliente ideale, dunque, cerca di individuare quelle che sono le sue motivazioni, le sue paure, le sue caratteristiche peculiari e le sue esigenze. In base a queste ipotesi di partenza, riuscirai a capire quale contenuto può effettivamente fare al caso suo.
Terzo consiglio: tendi l’orecchio al tuo pubblico (con i giusti strumenti)
Nel mondo del web 2.0, tutti parlano, tutti hanno voce, tutti dicono la propria opinione. E lo fanno anche i tuoi utenti. Di più: molti tuoi utenti parlano in rete della tua nicchia, e persino del tuo brand. Per ottimizzare i tuoi contenuti per i tuoi clienti e per poter davvero imbastire delle tecniche di neuromarketing per migliorare le performance del tuo business online, quindi, devi fare tutto il possibile per capire cosa dicono i tuoi clienti del tuo brand. Quali sono le loro emozioni, quali le motivazioni, quali le lamentele? Grazie a degli strumenti per l’ascolto e l’analisi dei social media (come per esempio la piattaforma Sysomos) puoi capire le emozioni che muovono la tua audience e capire su quali motivazioni puntare.
Quarto consiglio: ottimizza come parli (o meglio, come parlano)
Abbiamo visto che le query di ricerca degli utenti sono diventate sempre più colloquiali, spostando sempre di più l’attenzione di chi si occupa di SEO dalle classiche parole chiave al linguaggio naturale. Potresti dunque utilizzare gli stessi strumenti che hai usato per ascoltare i tuoi utenti per capire quali frasi effettive usano quando parlano del tuo brand, dei tuoi prodotti o semplicemente del tuo settore. Sto parlando delle cosiddette long tail keywords, ovvero di quelle parole chiave molto specifiche composte da quattro, cinque, sei o più termini che gli utenti usano effettivamente quando ricercano i tuoi prodotti o ne parlano online. Per creare dei contenuti che siano allo stesso tempo User e SEO frendly, dunque, ti consiglio di inserire delle long tail keywords nei tuoi contenuti.
Conclusione
Insomma, quando si tratta di ottimizzare i contenuti, non bisogna pensare solo alla SEO: il mondo della ricerca organica non si esaurisce certo nel migliore utilizzo del linguaggio HTML e dei suoi tag. In ogni elemento che realizziamo per creare le nostre pagine e i nostri post online, dal titolo alle call to action, dobbiamo infatti mettere al centro l’utente, con il suo dito sul mouse, con il suo cuore, con le sue passioni e, ovviamente, con la sua amigdala.
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