
Sofia di Bologna è una copywriter e mi chiede “Sia sul tuo libro che in diverse pubblicazioni di settore si parla della dopamina e di come la comprensione di questo neurotrasmettitore del cervello sia indispensabile per chi fa marketing […] sinceramente ho trovato pochi esempi pratici da applicare nel mio lavoro sul web, riesci a farmi comprendere meglio cosa dovrei sapere sulla dopamina e come sfruttano i suoi meccanismi gli esperti di comunicazione?“
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Perché Fido (o Pippo, o Pluto, o Tullio, o qualsiasi nome tu abbia dato al tuo amico cane) ti dà la zampa? Perché ti riporta la palla? Perché è un cane intelligente e perché gli piace giocare insieme a te? Sì, anche. Ma non solo. Lo fa soprattutto perché, per ogni singola azione, si aspetta di ricevere una ricompensa. Del resto è proprio così che sei riuscito a educarlo: a forza di biscottini golosi, di carezze e di altri entusiasti complimenti. Insomma, il tuo amico Pongo fa le cose perché si aspetta, prima o dopo, di ricevere un’adeguata ricompensa. Pensi che questo tratto definisca la mente della tua cagnolina Sissie semplice, ingenua, e facilissima da manovrare a tuo piacimento?
E cosa penseresti, dunque, se io ti dicessi che anche la tua mente in molti casi funziona seguendo il medesimo meccanismo della ricompensa, e che il mondo del marketing si fonda in gran parte – spesso senza farci nemmeno caso – proprio su questo concetto? Ebbene sì: ogni prodotto viene concepito, creato e portato sul mercato per fornire un benefit all’acquirente, per fargli vivere dei piccoli o grandi momenti di felicità.
É proprio la promessa di quella ricompensa che è insita in ogni messaggio promozionale, in ogni packaging e in ogni vetrina a spingere l’utente fino all’acquisto. Come anticipato, il mondo del marketing si fonda in larga parte su questo meccanismo, ma questo non significa che tutti gli addetti ne conoscano il funzionamento. Anzi, sono poche le persone che sanno davvero come reagisce il nostro cervello di fronte alla promessa di un beneficio, e sono ancora meno le persone che sanno sfruttare questo meccanismo per migliorare la user experience e quindi i risultati del proprio business.
Vuoi scoprire come funziona la mente umana quando viene messa di fronte a delle ricompense? Bene: allora sei pronto per affrontare insieme a me questa escursione nel mondo del neuromarketing. E, visto che voglio partire subito al trotto, nel prossimo paragrafo andremmo dritti dritti all’interno del cervello dei consumatori.
Indice degli argomenti
Il nostro cervello… ad un soffio dalla vincita
Per capire come funziona il nostro cervello di fronte alla possibilità di una ricompensa voglio rifarmi ad uno studio effettuato su degli scommettitori seriali, effettuato da Reza Habib. Nello specifico, lo psicologo intendeva testare i legami tra semplici abitudini e dipendenze, andando ad esaminare le reazioni delle persone di fronte alle cosiddette ‘sconfitte per un soffio’. Quando, giocando a freccette, manchi di pochissimo il centro; quando, giocando a calcio, spiazzi completamente il portiere ma prendi la traversa piena battendo una punizione dalla trequarti; quando, giocando a Scala Quaranta, ti sarebbe mancata una sola carta per vincere. Habib, però voleva testare questa sensazione nelle persone che hanno sviluppato una dipendenza dal gioco, e per questo la ‘quasi vincita’ era rappresentata da quattro simboli uguali sulla slot machine, ad un solo passo, insomma, dal premio.
Per capire cosa succede nel cervello di questi giocatori seriali lo psicologo ha chiesto ad un gruppo di scommettitori e ad un altro gruppo di non-scommettitori di guardare delle registrazioni di partite alla slot machine mentre facevano una risonanza magnetica. I video mostravano tre tipologie di di puntate: vincite, sconfitte e ‘quasi vincite’. Ebbene, si è così scoperto che il cervello di tutti quanti, scommettitori e non, reagisce praticamente nello stesso modo in caso di vincita, mostrando un chiaro segnale neurologico al margine della ricompensa ‘ricevuta’.
Il fatto strano è che gli scommettitori seriali hanno mostrato una reazione del tutto simile anche nei casi in cui la vittoria è mancata di un soffio. Proprio così: il loro cervello reagiva come se ci fosse stata una vittoria. Strano, vero? Ma soprattutto: come può essere utile questa informazione a chi si occupa di web marketing?
Il meccanismo della ricompensa, la vittoria mancata e la user experience
In che modo sapere che una vittoria mancata può creare lo stesso effetto di una vittoria può aiutare chi si occupa di migliorare la user experience di un prodotto, di un servizio o di un sistema? Beh, pensiamo ad un e-commerce: la vera ricompensa, per l’utente, è quella di ricevere il prodotto. Ma se questa ‘forza’ è localizzata alla fine del processo, come facciamo ad utilizzarla anche durante i passaggi che possono portare – o meno – l’acquirente all’acquisto? Certo, sottolineare i benefici e la convenienza di quel preciso prodotto può certamente aiutare.
Ma se si potesse anche motivare gli utenti a procedere verso l’acquisto dando loro l’impressione di aver già sfiorato quella sensazione? Dopo aver compilato un form con i propri dati, un messaggio che spiega all’utente ‘Sei quasi arrivato al termine del tuo acquisto!’ oppure ‘Ancora un passaggio e entrerai in possesso del nostro mitico Spremiagrumi’ può certamente avere un effetto in questo senso. O pensa a tutte le piccole ‘quasi vittorie’ che forniscono all’utente dei portali come Booking.com, i quali ancor prima di avviare l’utente all’acquisto vero e proprio lo blandiscono dicendo che quello è il miglior prezzo che poteva trovare, che quell’albergo era il migliore ma – purtroppo – l’ultima stanza è appena stata prenotata (per un soffio!) e via dicendo:
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"Se ricordare la ricompensa che gli utenti riceveranno una volta effettuato l’acquisto li può aiutare ad avanzare verso la conversione, dunque, presentare loro delle ‘quasi vittorie’ li può motivare ancora di più"
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Questo perché le persone cercano una ricompensa in tutto quello che fanno, persino durante lo svago, persino durante il gioco. Pensa per esempio ai giochi per smartphone come Angry Birds, che tengono incollati gli utenti non tanto con la difficoltà o con la variabilità dei vari livelli, quanto invece attraverso il sistema di assegnazione delle stelle. Nella maggior parte dei casi è infatti piuttosto semplice passare i livelli, ma è difficilissimo vedersi assegnare 3 stelle su 3: insomma, la maggior parte delle vittorie si presenta come una ‘quasi vittoria‘.
Di più: ci sono altri giochi come Flappy Bird – concettualmente infinito – che hanno riscosso un incredibile successo perché non esisteva una vera e propria vittoria, si finiva sempre con una sconfitta, con la possibilità, dunque, di fare sempre di meglio. Ecco perché migliaia di persone hanno sviluppato piuttosto rapidamente delle dipendenze per questi giochi.
Ma ehi, il meccanismo della ricompensa non va ovviamente sfruttato per creare delle dipendenze (lo sa bene il creatore di Flappy Bird, il quale, a causa dello stress nato dal successo del gioco, ha deciso di ritirare l’app dal mercato, dopo essere stato minacciato più volte dagli utenti che, per colpa della dipendenza da quel gioco, avevano finito persino per perdere il lavoro). No, questo meccanismo deve essere utilizzato per motivare le persone a fare qualcosa di utile per loro stesse. Pensa per esempio ad un’app che come Runtastic, che premia con delle ‘medaglie’ le persone che corrono qualche centinaio di metri in più giorno dopo giorno, o le varie app che aiutano gli utenti ad avere delle diete più sane ed equilibrate. In questi campi, il meccanismo della ricompensa è formidabile.
Lo stress aumenta il desiderio di ricompensa
Occhei, occhei, lo so: siamo tutti almeno un po’ stressati. Ma ci sono situazioni in cui il nostro livello di stress si alza in modo piuttosto marcato. E sai cosa hanno scoperto i neurologi? Beh, che quando siamo stressati sentiamo un bisogno tre volte maggiore di ricevere una ricompensa.
Lo studio più interessante che va in questa direzione è stato condotto a Ginevra, su un gruppo di studenti universitari. Un gruppo ha dovuto a immergere le mani in acqua ghiacciata, mentre l’altra metà ha immerso le mani in acqua tiepida. Ogni qualvolta i partecipanti vedevano apparire un simbolo sullo schermo davanti a loro, in tutta risposta dovevano premere una leva per ricevere un ‘profumo’ di cioccolato. Proprio così: non una barretta di cioccolato – cribbio, in Svizzera ce lo si potrebbe proprio aspettare – e nemmeno un quadratino, no: una semplice spruzzata di profumo, niente di più.
Sai cosa hanno scoperto gli scienziati? Beh, che le ‘cavie’ sottoposte a maggiore stress – con le mani immerse in acqua ghiacciata – premevano la leva con un’intensità tre volte maggiore rispetto quelle dell’altro gruppo. E non è tutto qui: la ricompensa non era reale, non era un pezzo di cioccolata, era solo dell’impalpabile profumo. Di più: gli scienziati hanno anche dimostrato che il livello di ‘piacere’ raggiunto ad annusare il profumo era uguale tra i due gruppi. Il livello di stress, dunque, non variava affatto il livello di ‘felicità’ percepita con quella intangibile ricompensa.
Il fatto di sapere che le persone sotto stress hanno un maggiore bisogno di ricompensa può senz’altro aiutarci a capire, in taluni casi, chi sono i nostri consumatori. Pensaci un po’: una persona sottoposta a stress cerca una ricompensa molto più di una persona tranquilla. Non è un caso se, quando siamo sommersi di lavoro, quando non abbiamo nemmeno un minuto da perdere, finiamo lo stesso per passare su Facebook, per trovare un qualche forma di ricompensa – che può essere costituita da qualche like, o anche dal trovare un post di qualcuno che la pensa come te. Quanti utenti approdano su Amazon o su altri portali di vendita online principalmente per trovare una momentanea fuga dallo stress, alla ricerca di una ricompensa facile?
E non è tutto qui: questo ragionamento ci porta anche a pensare non solo allo stress che spinge gli utenti ad arrivare su determinati portali – dai social ntework agli e-commerce; no, ci porta anche a pensare allo stress che gli stessi siti possono creare, e quindi agli strumenti a loro disposizione per fare in modo che gli utenti siano disposti a sopportare quel carico di stress.
Ipotizziamo che tu spinga i visitatori del tuo sito ad iscriversi ad un determinato servizio, e che questa richiesta prevede di riempire svariate form di dati personali. Beh, di certo l’utente non muore dalla voglia di perdere tempo a inserire queste informazioni, e il fatto di fare qualcosa che non vorrebbe fare crea automaticamente dello stress. Sai cosa significa? Vuol dire che, per fare in modo che quell’utente compia fino in fondo quell’operazione, tu devi promettergli di ricevere un qualche tipo di ricompensa una volta arrivato alla fine (un ebook gratis, un contenuto, un buono sconto, qualsiasi cosa).
La ricompensa, in anticipo
Abbiamo visto il potere del promettere una ricompensa al termine di un’operazione. E se invece io decidessi di fornire una ricompensa in anticipo? Beh, il risultato sarebbe più o meno il medesimo. Anzi, in certi casi potrebbe persino essere migliore, in quanto – come viene spiegato dal principio della reciprocità – le persone si sentono in dovere di fare uno sforzo in favore di una persona (o di un portale) che ha precedentemente dato loro qualcosa in modo gratuito.
Il percorso neurologico della ricompensa
Ma cosa avviene effettivamente nel nostro cervello quando riceviamo una ricompensa, per quanto piccola e insignificante? Bene, pensa al più stupido degli esempi. Pensa al pubblicare una tua foto su Facebook, o allo scrivere un post per il tuo blog. Ricevi un like, alla foto o al post. Cosa succede? Beh, all’interno del tuo cervello, quel gruppo di neuroni che costituisce l‘area tegmentale ventrale inizia a rilascia dopamina, la quale viene trasferita ad altre parti del cervello. Nello specifico, la dopamina viaggia verso l’ippocampo (che forma le memorie esplicite e trasforma la memoria a breve termine in memoria a lungo termine) e verso l’amigdala (che, come abbiamo visto in un altro articolo, ha a che fare con le nostre emozioni). E non è tutto qui: la dopamina viene trasferita anche verso il nucleus accumbens, il quale, guarda un po’, è l’artefice del meccanismo di ricompensa.
Ma cosa possiamo capire da questo trasferimento di dopamina? Prima di tutto, che per archiviare quanti più dettagli possibili in relazione a questo ‘piacere‘, il nostro cervello va a creare delle connessioni tra le emozioni e la memoria, così da metterci nelle condizioni di rivivere quelle sensazioni. Il tutto viene connesso al nucleus accumbens, e non è dunque un caso che sia qui che risiedono i piaceri creati dalle droghe, dall’esercizio fisico, dall’alimentazione e dal sesso.
C’è però un fatto piuttosto strano. Sì, proprio così: bisogna infatti sottolineare che la maggior parte della dopamina che il nostro cervello trasferisce verso il nucleus accumbens viene spostata non dopo aver ricevuto la ricompensa, bensì prima, mentre si è in fervida attesa.
Quindi, da un certo punto di vista, l’attività del nucleo che si occupa del meccanismo di ricompensa è ai massimi livelli non quando vediamo il like sul nostro post, ma quando invece lo stiamo ultimando, quando sentiamo ormai vicinissima la ricompensa – che però manca ancora. Per promuovere al massimo un prodotto, o per far tornare gli utenti su un sito web, è dunque necessario continuare a proporre la futura ricompensa, a tenere questo pensiero vivido nella mente degli utenti.
Conclusione
Forse sapevi già che assicurare una ricompensa ai tuoi utenti è uno dei migliori modi per farli avanzare lungo il percorso di conversione. Molto probabilmente, però, non immaginavi quanto potesse essere potente anche la semplice attesa della ricompensa, o perfino il semplice pensiero di esservi vicini. Ora che lo sai, puoi stimolare correttamente i tuoi utenti per farli arrivare più rapidamente alla conversione: se lo saprai fare bene, sarà la loro stessa felicità a farli ritornare quanto prima da te.
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